Sipario (THE END)

Pubblicato 11/01/2011 di stefano calzati
Categorie: amusement, stream of consciousness

Tags: , , , , , , , , , , , , ,

Now it’s really over. Anche il Western Australia (l’ultimo degli stati australiani che mi mancava per completare il mio ideale viaggio continentale down under) e’ stato percorso in lungo e in largo macinando chilometri lungo autostrade marziane che si perdevano all’infinito. Ogni volta un deserto diverso, ogni volta la medesima sensazione di essere nulla di fronte al nulla.

Di seguito le foto del viaggio (e quelle di capodanno che non sono riuscito a postare prima della partenza). Questa la colonna sonora.

Post miscellaneo. C’e’ anche spazio per il link a Le reti di Dedalus che ha pubblicato l’ultimo capitolo della mia avventura australe (viaggio in Queensland)

Mixed feelings. Strange feelings. La partenza e’ ormai distante il tempo di un respiro. But I’m ready again for the new South Asian Adventure! Cercando sempre nuove parole. Let’s write the history of our lives.

PS. Sento che il blog, nato in occasione del mio viaggio in terra aussie, giunge con questo post ad una conclusione naturale, eppure ipotetica (mai dire mai). Cala il sipario, insomma, almeno per ora. Ma se avvertiro’ l’esigenza di raccontare ancora nuove esperienze, probabilmente lo faro’ da qui, voltando pagina, una alla volta, comme toujours.

Mare Aperto

Pubblicato 30/12/2010 di stefano calzati
Categorie: stream of consciousness

Tags: , , , , , , , , ,

Giorni sereni. Giorni di pensieri leggeri innescati da un vento caldo sub-equatoriale. Jours sans soucis, che scivolano via senza alcun sussulto timido-laconico. Sono ormai al largo. Cerco di organizzare il “dopo-Australia” – il post-Adventure – senza alcuna vera convinzione: l’indolole è ormai quella oziosa e svogliata che contraddistingue ogni gesto deliberatamente festivo. I cant’ be worried, now. Fluttuo in un limbo di dolce e spensierata attesa – finalmente – e nulla può davvero scardinare la quiete sonnecchiosa e cieca a cui mi sono abbandonato senza troppe pretese, nè interrogativi. Il dopo arriverà, non c’è ragione di cercarlo ora. (Viendra l’après, aucune raison pour le chercher maintenant).

A year has passed (another year has passed); vivrò un capodanno atipicamente afoso e on the road in pantaloncini, maglietta and with some fresh drinks in my hands. Poi mi sveglierò e volerò verso ovest, verso Perth, verso il sole cocente del Western Australia. Ho già impacchettato tutto: vestiti, costume, telo da mare. Anche le lacrime. I saluti tristi e calorosi di chi che mi ha graziato con il suo dolceamaro farewell, li custodisco nella tasca davanti del mio zaino.

Questa città non mi dice più nulla. Non può dirmi più nulla, semplicemente perchè non le domando più nulla; non interrogo più le sue vie, i suo monumenti, i suoi silenzi, le sue manie. Risposte non ce ne sono (più). Sarà  l’irrequietezza del viaggio a risvegliare la curiostà? Chissà…

Penso a te, senza peso, nè pretesa, lasciando crescere l’attesa con consapevole sorriso.

Il futuro non mi fa paura. E parlo di me e scrivo di me e dico di me.

Questo potrebbe essere l’ultimo post del 2010 – anno vulcanico, transitorio e contraddittorio che mi ha dato tanto e mi ha cambiato tanto. Se riuscirò scriverò qualcosa sul capodanno, prima di partire per Perth, ma quasi sicuramente domani spedirò il mio computer in Italia insieme a tanta altra roba (I can’t keep it in Vietnam and Thailand), per cui la scrittura – condizionata necessità-libera – dipenderà dal tempo e da qualche clemente internet point della city. C’est où la passion? Adagiata sul fondale di un mare calmo e imperturbabile.

Pour l’instant, Happy New Year!

Hasta Luego

Boxing Day!

Pubblicato 27/12/2010 di stefano calzati
Categorie: amusement, stream of consciousness

Tags: , , , , , ,

L’etimologia dell’accezione “Boxing Day”, con la quale il mondo ortodosso-protestante-mercificato ha ribattezzato il 26 dicembre, affonda nel mito. Secondo alcuni risale all’usanza di reimpacchettare i regali natalizi non graditi nella speranza di rifiliarli a chicchessia, as soon as possible. Secondo altri, le origini sono più “nobili” e antiche e affondano nella tradizione padronale di impacchettare e ridistribuire alla servitù il cibo in avanzo dal Natale. Infine c’è chi sostiene che l’accezione si rifaccia – piuttosto prosaicamente – alle immancabili risse boxistico-urbane in occasione dell’inizio dei saldi.

In realtà, il tutto ha ben poca importanza, se non quella di ribadire (se ve ne fosse stato ancora bisogno) che siamo una società dipendente dai beni materiali.

Proprio il giorno di Natale, lontano 16mila chilometri da casa e davanti ad una abbondanza regalistica sorprendente, mi sentivo felice di non avere pacchi da scartare; mi sentivo graziato da un’incombenza alla quale, bene o male, tutti devono sottostare. I felt a bit more free. E visto che in quei frangenti di calda e umida festività ero in tema di riflessioni e bilanci, mi sono pure chiesto se davvero questa esperienza down under mi abbia reso una persona migliore (sempre che il tutto abbia un senso). Ecco, su questo ho i miei dubbi, ma di una cosa sono certo: le conseguenze che questi otto mesi hanno avuto e avranno su di me, sulla mia personalità, su chi ero e non sono più e, soprattutto, su chi sarò; le conseguenze, dicevo, non potrò che individuarle nel lungo periodo, vederle affiorare lentamente alla coscienza, una ad una, ed una ad una riconoscerle, come tanti salvagenti che risalgono in superficie dagli abissi di un mare conosciuto. Nella certezza – già – di scoprirmi diverso.

Ad ogni modo, questi giorni sono stati senza dubbio tra i più intensi e spensierati da quando sono a Melbourne.

Para ti.

Decompression

Pubblicato 24/12/2010 di stefano calzati
Categorie: amusement, stream of consciousness

Tags: , , , , , , , , , , , ,

Have you ever been on the moon? Have you ever imagined something so bucolic to seem alien? Have you ever thought to shut the door and leave the world out? C’è un brandello di terra, su questa terra, che condensa in sè la risposta a queste domande erranti-esistenziali: la Tasmania. Un’isola nuvolesca tanto reale, quanto onirica, tanto umile, quanto inaccessibile, sospesa tra storia e magia, tra il tempo della magia e lo spazio della storia, coordinate poetiche la cui sostanza è un mix di folcore e premodernità extremely down-to-earth. Please stop here, to the edge of the universe, to contemplate the Unknown. Please stop here to find Yourself. Attraversare la Tasmania è un’esperienza di vita che soffoca il respiro in petto e adagia la psiche su un letto di verdeggianti riflessioni umide. I pensieri si impregnano della pioggia copiosa di questi luoghi e si strutturano intorno a una miriade di sensazioni nuove: colori, suoni, scenari inospitali e inattesi. La natura non è tutta uguale, non ai margini del mondo, certo; e se ci si affaccia a guardare fuori – a guardare oltre – è uno scompenso di impotenza a cogliere l’anima. Nonostante la stanchezza, nonostante le emozioni lente e intorpidite, nonostante il clima e l’umore tipiedi, nonostante tutto, ho sentito il brivido di quest’isola corrermi lungo le gambe. 

Strange to admit, but I feel a bit homesick. Mi mancheranno i tortellini il giorno di Natale, la vigilia passata ad alcolizzarsi in qualche baretto della Bassa, le persone a cui voglio bene e quelle che amo. Qui, però, ho anche trovato con chi parlare di rivoluzione e di linguaggi nuovi, di letteratura, di cinema-radio-teatro, e di una “new civil resilience”. Thanks to Colm and Daniela, la cui compagnia mi regala una calorosa sensazione di familiarità condivisa in grado di alleviare un po’ la mia saudade…now, please, just let’s the summer start!

(Finalmente torno al blog dopo traslochi, pacchi e viaggi…mi sembra come di aver trascurato un po’ me stesso con quest’assenza)

MERRY XMAS

Count-down-under

Pubblicato 12/12/2010 di stefano calzati
Categorie: stream of consciousness

Tags: , , , , , , , , ,

“Terminus, tous les voyageurs sont invités à descendre, descente à gauche.” Così recitava quotidianamente il conducente della ligne 13 à Paris ogni volta che il treno giungeva al capolinea di Saint-Dénis. A queste parole, ora che avverto la fine di questa esperienza così vicina, aggiungerei volentieri qualche ingenuo consiglio: “n’oubliez pas vous souvenirs, interdiction aux larmes, smiles and new dreams allowed.” Ci siamo: – 7 alla fine della scuola, – 13 ad un insolito natale umido-tropicale, – 20 al sole del Western Australia, – 30 to the new vietnamese adventure! E tra 3 giorni lascerò definitivamente la mia casa al 195 di Brighton Road, i miei coinquilini aussie che mi hanno sopportato e fatto compagnia per otto mesi, e inizierò una vita da viandante-zaino-in-spalla sin ninguna morada

Mi pare di essere a bordo di un train-de-vie in rapida decelerazione: i passeggeri si urtano, si cercano, si scusano, le date si avvicinano, si schiacciano, si sorpassano, gli oggetti ruzzolano verso la testa del vagone, gli eventi si accavallano l’uno sull’altro e vi è sempre meno tempo per i saluti, le cene, gli abbracci, i ricordi, i progetti, i pacchi da spedire e gli oggetti da lasciare, le cose da fare e quelle che rimarranno, inesorabilmente, solo nelle intenzioni amare di chi non-ha-avuto-il-tempo-di… Everyting seems due, but not everything can be done. It’s just a run, run, run.

Alle volte riesco ad affontare il distacco da queste situazioni con la pancia piena; sento cioè di aver davvero fatto tutto, di aver salutato tutti, di aver concluso nel migliore dei modi i progetti in cui mi ero imbarcato. E di non avere rimpianti. Sempre che il tutto abbia un senso. Altre volte, invece, ho la sensazione di aver lasciato troppe cose a metà, di non aver reso i necessari ringraziamenti a chi mi è stato accanto, di dover partire in maniera quasi inaspettata, nonostante sapessi ormai da tempo la data della mia despiedida. Un vuoto di scoramento mi ingarbuglia le viscere e nulla può placarne l’insoddifatto nichilismo. Questa volta, per scongiurare il pericolo di dover tornare nell’immediato fin quaggiù, ho iniziato per tempo il rituale degli “addii, che poi non sono addii, ma solo degli arrivederci, eppure sanno tanto di addii”. E speriamo che io riesca a partire con la pancia sazia, anche se non credo sia solo una questione di tempistica, bensì di fare un po’ i conti con se stessi. Onestamente.

Ho imparato che i ricordi non si cancellano. E’ possibile, forse, attenuarne l’effetto di riverbero sul cuore, sui polmoni, sull’intestino, sulle braccia o sulle gambe; ma non si possono eliminare. Al massimo smussarne i contorni con i tempi dell’oblio, così come la pioggia leviga le rocce in ere geologiche. Ma le montagne, come i ricordi, non spariranno mai. Vivo in transizione; vivo di sentimenti contratti e sensazioni atrofizzate. So di non aver concesso, alle persone che mi hanno circondato, quell’umanità e quella presenza di cui sono capace e so, in cambio, di aver ricevuto ben di più di quanto potessi immaginarmi. I am sorry. Ma mettere insieme i pezzi is not as easy e in certi momenti è facile perdere il filo della poesia e rimangono solo le domande a fare compagnia e non sempre si riescono a capire i propri desideri e grazie a Dio la vita non è un’equazione a somma zero e…e…e… and eventually it’s over.

Prêt de nouveau.

Come avevo promesso, ecco il link alla trasmissione della SBS (il cui titolo di oggi è “Islam and Feminism”) con la mia intervista ad Andrea Carraro.

PROTEST !

Pubblicato 07/12/2010 di stefano calzati
Categorie: amusement, culture, politics

Tags: , , , , , , , ,

Tempo fa scrissi su questi schermi che molto difficilmente avrei assistito a proteste in grado di paralizzare i servizi della city o di rallentare il già flemmatico incedere degli aussie, innanzitutto perchè qui non esiste una vera urbe – nel senso latino del termine – che possa essere paralizzata; secondo perchè l’Australia è un paese naturally and inherently a-conflittuale. Dunque, britannicamente refrattario alle proteste. I conflitti, in fondo, nascono dalla storia, dal passato, dalla tradizione, ma qui non esiste nulla di tutto ciò, o meglio, se una storia, un passato e una tradizione esistono, sono stati  premurosamente rimossi e ridotti in riserva a futura memoria di generazioni interessate solo all’avvenire (attendo il giorno in cui gli Aborigeni si ribelleranno, ma non credo che avverrà molto presto. By the way, ho scoperto appena qualche giorno fa che l’Inno ufficiale australiano risale al lontano…1984).

Tuttavia, nell’esprimere questa mia acerba considerazione sull’Impossibilità-della-Protesta-in-quel-di-Melbourne, non avevo considerato l’evenienza che ad organizzarla e ad organizzarsi potessero essere coloro che, provenendo dall’Altrove Trans-Oceanico, in Australia vi giungono con un bagaglio storico e culturale millenario, oltre che di cartone. Ovvero, noi Immgrati (il maiuscolo è d’obbligo, dal momento che potremmo chiedere la cittadinanza anywhere, tanto siamo disgraziati).

Once again these pages witness an unexpected political turning point. Ne avevo un estremo bisogno, di questa protesta. J’en avais le désir. Sentire l’eco italica di mobilitazioni rabbiose e spontanee, giovani e apartitiche, tanto destabilizzanti per il Paese, quanto capaci di incontrare un’insperata e diffusa solidarietà nella cittadinanza (siamo ancora cittadini? Forse sì…); proteste a difesa di un sistema – l’Istruzione PUBBLICA italiana – che ritengo ancora, pedagogicamente, tra i più validi al mondo (sennò non si spiegherebbero tutti i cervelli in fuga, che da qualche parte si saran pur formati); sentire, insomma, di un mondo ormai à l’écroulement che protesta per il proprio futuro e contro l’idea aberrante di un Sapere supino alle logiche dell’economia e della convenienza (e supino ad un Ministro – Mariastella Gelmini – incapace di votare il suo stesso disegno di legge),  mi ha fatto venire una gran voglia di manifestare. Di sostenere questi “No” all’ennesima Riforma dell’incompetenza pure da qui – 20.000 kilometers far away, nel silenzio placido di questo continente – condividendone i principi e promuovendone la risonanza. Simply because I believe it. Una protesta che non sia più solo italiana, ma Europea, intercontinentale, planetaria. Metafisica, con la benedizione di M.M.

concert, a Facebook page, una diretta on SBS, i giusti contacts around here, ma soprattutto persone che avvertano lo stesso medesimo antagonismo nei confronti di quella fetta del Belpaese-gerontocratico che non ci ha voluto e che ci ha allontanato senza rancore; e che avvertano lo stesso medesimo bisogno, per questo, di alzarsi una mattina, una buona volta, e dissentire. Encore un fois, en fait. That’s all we need. Leaflets, a banner, a pinch of enthusiasm and…ourselves.

Non importa quanti saremo. Forse uno, non credo nessuno, dubito centomila. Di certo non rallenteremo il già flemmatico incedere degli aussie. But well’have fun. Ciò che importa è quello che avremo da dire e il fatto che, nonostante il sabato festivo, saremo per le strade di un paese a-conflittuale ad esportare un po’ della nostra rabbia. E poi, volete mettere l’adrenalina, lo scrivere i volantini e i comunicati stampa during the Italian lesson e il concedersi una colazione da Brunetti?

Sabato 11 dicembre, ore 11, Melbourne University. Chi verrà, vedrà.

M. M. e la Rivoluzione Mancata

Pubblicato 02/12/2010 di stefano calzati
Categorie: culture, politics, stream of consciousness

Tags: , , , , , , , , , ,

Il suicidio è un atto intrinsecamente ambiguo. E’ un atto di estrema rinuncia e insieme di estrema, drammatica vitalità (c’è più vita nel suicidio che nei tubi della non-vita). Tuttavia, che lo si interpreti in un modo o nell’altro, un dato permane immutabile: si tratta di una scelta e di un atto critico, della disperata e lucida sublimazione della consapevolezza di sè. Se il suicidio è sempre contornato da un’aura amorfa e atona – l’aura dell’inspiegato e inspiegabile “pourquoi?”, tipica dei gesti estremi che, nella loro inusitata razionalità, annullano la ragione – il suicidio di una persona di 95 anni – di un genio di 95 anni – non è solo inspiegabile, ma…comprensibile. Dopo aver atteso, per quasi un secolo, una rivoluzione che non è mai arrivata, un cambiamento che non è mai giunto, o anche solo un sussulto, un lamento, un latrato, da parte di quel popolo che amava visceralmente, ma che non mancava e non manca di dimostrare un’afasica indolenza nei confronti della vita – il popolo più pecorone che la storia (con la S sbagliata) abbia mai messo insieme – Mario Monicelli ha scelto e inscenato il suo ultimo atto rivoluzionario. Un atto da cui, come tutte le rivoluzioni, non si puo’ tornare indietro. C’è una rabbia civile e poetica, nel gesto di Monicelli, che suscita istintiva compassione e lacrime dolci-amare, una rabbia antagonista che mi ricorda quella di Pasolini, la cui morte fu certamente omicida, ma il cui estremo isolamento – e l’incomprensione che ne seguì – furono certamente suicide. Lacrime da Grande Guerra: siamo mandati a morire in nome di chi ci ha preceduto. Sarebbe ora di ribaltare i rapporti. (E se la rivoluzione oggi fosse il posto in banca? Probabilmente; ma sono troppo pigro per fare questa Rivoluzione).

Davvero credete che Internet basti per fare la Rivoluzione? Do you really believe in the neutral power of the net? Di che potere stiamo parlando? Di quello che consente la pubblicazione di migliaia di documenti riservati (seppur non top-secret), o di quello che stringe alleanze politiche per continuare a garantire filtraggi e censure nel paese più potente al mondo (la Cina)?

Ecco, anche su questa cosa di Internet, di Wikileaks e di tutto ciò che ne consegue ho una percezione un po’ ambigua. La duplice questione – Internet e Wikileaks, due mondi che si presuppongono vicendevolmente – e’ complicata e impossibile da esaurire in poche righe, ma alcune riflessioni sono (già) possibili. Certo, la pubblicazione dei documenti di Wikileaks è senza dubbio un evento senza precedenti per modi, strumenti, e coinvolgimento planetario degli attori. Ed è senza dubbio un evento incontrollato, la cui deflagrazione ha segnato e segnerà a lungo i rapporti tra i governi e tra i poteri cosiddetti “ufficiali”. But, to what extent is this revolution democratically free? In fondo, se la pubblicazione dei documenti di Wikileaks ci dice qualcosa sul declino della vetero-politica novencentesca e sulla fine della “diplomazia diplomatica”, non fa che infittire i dubbi intorno alla galassia Internet. Quanto crediamo che Internet sia libero  e quanto lo è veramente? Qual’è il peso specifico dei colossi-attori della digital revolution sui rapporti internazionali? La politica non è solo quella “governata” – bien évidemment -, ma anche quella indirizzata e influenzata. Quanto Internet influenza la politica? Quali altri poteri occulti/paralleli indirizzano Internet? Interpretare lo strappo storico promosso da Wikileaks come una rivolzione unilateralmente democratica, per quello che ne sappiamo (in tutti i sensi), potrebbe rivelarsi una miope visione. Internet è un moltiplicatore di opportunità, ma su ogni opportunità, come iene rinsecchite, si fiondano i “soliti opportunisti noti” e su di essi, non sul mezzo in sè, grava il peso del dubbio.

Do you really think that the medium I am now exploiting is inherently free? What does free mean?

Sarei curioso di sapere cosa ne penserebbe Pasolini.

Credo – ancora – nella vetero-rivoluzione, quella con le pietre e i bastoni, quella che, sebbene oggi possa sfruttare Internet come ambiente virtuale di aggregazione, esplode infine –  necessariamente  – nelle strade, nelle piazze, sui tetti. La Rivoluzione Mancata (per ora) di M. M.

PS: Intervista radiofonica ad Andrea Carraro, autore, tra gli altri, de Il branco, Il gioco della verità, Da Roma a Roma. Ottima conversazione letteraria. Cercherò di postare qui l’intervista.

PPS: Ci tenevo a postare questo articolo di Repubblica, anche se è un po’ datato. Sorry, I forgot to do it before. Ma almeno, attraverso di esso, si può comprendere un po’ di più la mia scelta americana.

Another brick has fallen…in transition verso la fine!

Pubblicato 28/11/2010 di stefano calzati
Categorie: amusement, politics, stream of consciousness

Tags: , , , , , , , , , , , ,

DONE!

Dopo 5 mesi di lavoro, 2 esami di inglese, decine di università e professori contattati, dozzine di progetti elucubrati e poi abortiti, centinaia di santi invocati per maledire l’imperizia mia e quella altrui, innumerevoli ore di insonnia e altrettante bottoglie di Carlton Draught, ho finalmente inviato in the US le domande di dottorato. Un parto, insomma. Mi sento alleggerito e ringiovanito di un paio d’anni. Good vibrations! Now, there’s just one imperative ahead: party ‘n holiday! Tasmania, Summer Christmas, Western Australia, Vietnam and Thailand… in risalita verticale!

In quella che è stata la mia prima domenica “normale” since ages, ho finalmente goduto dello scorrere del tempo senza che fossero gli eventi a scandirne il serrato incedere, ma piuttosto la mia pigra e oziosa deriva feriale. Sono tornato finalmente alle mie letture, a passeggiare along the beach, a vedere gente e a fare cose. Il dottorato è, in realtà, soltanto l’ultimo di una serie di capitoli che si stanno chiudendo rapidamente one after the other, come se le pagine del libro che sto leggendo fossero sfogliate da un soffio irrispettoso di mezza stagione naturalmente incline al cambiamento. La scuola, la radio, le lezioni, i ritmi, gli umori, tutto sembra in balia di un’inesorabile disgregazione; ma l’incertitude che mi attende, oltre metà dicembre, risveglia formicolii adrenalinici sopiti. Le mie giornate, al pari del clima che le accompagna, stanno attraversando una muta rapida e viscerale: l’estate è alle porte; le duties sempre più alle spalle…

Di un”avventura amo in particolare l’inizio e la conclusione. Il motivo è che in questi frangenti – secoli soffocati nell’apnea di giorni – il tempo si contrae e si addensa, conferendo ad ogni episodio il peso apocalittico dell’imprescindibilità. Istanti di passaggio che si sostanziano di un magma caldo ed estrememente fluido da solcare senza paura prima che si cristallizzi nella forma fredda del ricordo. Il pensiero va al ritorno o alla partenza, a chi si lascia o chi si reincontra, a ciò che si perde o a ciò che si ritrova, in un parmenideo gioco degli opposti cesellato di interrogativi. When? Where? Why? Domande che però non devono far dimenticare di…vivere. La vita è sempre di passaggio, in fondo.

Tuttavia ciò che amo ancor di più è l’idea che anche al crepuscolo di un mondo che sta già cambiando le proprie sembianze per rinascere sotto altra forma, sia possibile imbattersi nei preziosi sorrisi e nei gesti incondizionati di coloro che non vivono il mio stesso “passaggio” e non vogliono, per questo, essere dimenticati. E’ sempre alla fine di un’esperienza che, setacciando il vissuto, è possibile distinguere le perle dalla pietra grezza. Le perle brillano di luce propria, non chiedono di essere viste, si danno all’occhio e all’anima senza difficoltà. In questi giorni ho ricevuto in dono pensieri, parole, azioni ed emozioni che, da sole, vanno ben al di là di tutto quello che ho costruito. L’amicizia si nasconde tra le pieghe del quotidiano e nei silenzi condivisi. Senza fare nomi.

Temo solo i ricordi di ciò che non potrò più avere, dei luoghi in cui non potrò più tornare e dei volti di chi ho incontrato che non potrò più rivedere. Il resto, passerà.

PS. attendendo un lunedì che ormai non fa più paura, fantastico incuriosito sulle rivelazioni di Wikileaks.

Looking back, per una volta

Pubblicato 25/11/2010 di stefano calzati
Categorie: stream of consciousness

Tags: , , , , , , , , , ,

Che se ci ripenso, non so mica come ho fatto a divorare così questi 8 mesi. I just did it, that’s all I know. I did it again, actually. Ho instillato in questa esperienza – come ho sempre cercato di fare everywhere around the world – tutto quello che avevo dentro, senza pensare troppo all’avenir. Fatigant. Épuisant. But extremely gratifying, after all. Ho scommesso un oceano di idee ed energie in questo continente dimenticato da Dio e dal Fuso Orario, un oceano di progetti e speranze in questi mesi dall’alterna intensità; tutto questo, nonostante avvertissi (e avverta tutt’ora) la transitorietà sporadica del momento che st(av)o vivendo: devo pur andare a finire da qualche parte, continuo a ripetermi; ma non so dove…Ecco, forse è il concetto di “finire” che mi risulta ostico. Ci sto lavorando, onestamente lavorando.

Non ho rimpianti e in fondo è quello che conta. Could I really ask for more? Si può sempre ottenere di più, for sure (tutti chiedono qualcosa in più, sempre); ma la consapevolezza di aver costruito dal nulla una poliedrica dimensione sostenibile e vivibile fatta di tante piccole routines e di tanti piccoli contesti – per me, così refrattario alla sedentarietà – vale da sola ogni singolo giorno di questi otto mesi. Nonostante i difetti miei e di questo mondo; nonostante il tempo insufficiente e le distanze incolmabili; nonostante i rapporti tanto intensi, quanto occasionali, o l’amarezza suscitata da chi chiede il conto senza neppure aver ordinato; nonostante tutto, non ho rimpianti. Siatene pigramente aware.

Ci sono episodi, situazioni, dettagli, atmosfere che portano già addosso l’odore e le tinte della fine. Le tinte della fine sono solitamente pallide e sfumate, ma non opache. Abbancinanti, piuttosto. Gli odori, invece, sono più intensi e pungenti che mai, quasi la memoria olfattiva si sforzi di catturare ogni minimo dettaglio before it’s too late; before the end. L’esperienza entra così in post-produzione e assume già le sembianze del souvenir. Per dire che ieri al Coasit l’aria era proprio questa: salutibaciabbracci e gli insoliti auguri natalizi immersi nell’afa di un tardo pomeriggio melbourniano.

Yesterday, at school, per una machiavellica combinazione di assenze/supplenze, mi sono ritrovato a tenere una lezione cosiddetta “normale” – ovvero non di italiano, giacchè the Italian lesson è considerata una special subject insieme ad arte, drama, musica, ginnastica, scacchi (sì, scacchi) e quant’altro – dicevo, yesterday mi sono ritrovato a tenere una lezione normale ad una classe di grades 5 particolarmente calda. E così ho potuto osservare più da vicino come viene programmata una ideal-tipica giornata scolastica di alcuni rampolli della baia proverbialmente indisposti a stare seduti. Ebbene, il concetto passatista di lezione con cui sono cresciuto nell’arco di tredici anni di studi, assume qui i contorni de l’éphémère. Dopo appena una mezz’oretta di frazioni, durante la quale forse neppure un quinto della classe aveva completato gli esercizi assegnati, gli enfants prodige si sono precipitati in biblioteca, ma mica per prendere in mano un libro, ci mancherebbe, bensì per mettersi a giocare a mini-golf davanti al pc. Un’ora intera. The purpose? None. Una cosa, insomma, che avrebbe annoiato anche il più incallito amante della playstation, senza, per altro, insegnare alcunchè. Ora, passi pure l’accettazione di metodi pedagogici moderni e diversi da quello gentiliano, ma qui siamo al paradosso del non-method. Almeno capisco, però, come mai trascorro la metà del mio tempo a correggere lo spelling in inglese invece che insegnare l’italiano. The Grammar, questa sconosciuta.

Postilla con video. Di Roberto Saviano l’Italia aveva (e ha) estremamente bisogno. Forse troppo. Dico “forse troppo” per una duplice ragione. Non voglio discutere qui le sue posizioni, nè tantomeno la sua persona, quanto piuttosto il suo ruolo. Primo, è incredibile quanto sia difficile oggi, in Italia, fare quello che lui fa, ovvero del sano giornalismo d’inchiesta (lo ripeto, nel caso possa servire: gior-na-li-smo d’in-chie-sta), senza per questo finire a pagina 22 del quotidiano di turno; una difficoltà che nasce dall’imperizia, certo, dalla mancanza di tempo e di dedizione, dal passivo assoggettamento a logiche di potere superiori, e così via; ma soprattutto, ahimè, dalla paura di sporcarsi camicia, mani, volto, nome e cognome, sospinti innanzi, non da lode e compensi, ma dalla viscerale volontà di sapere e di capire. C-a-p-i-r-e. Saviano non è l’unico, ben inteso; ma ci troviamo di fronte pur sempre ad una desolante minoranza. Secondo, ho l’amara sensazione che il crescente peso che Saviano deve sopportare sulle proprie spalle, la responsabilità di rappresentare una voce alla quale con sempre più fiducia le persone tendono l’orecchio per informarsi ed essere criticamente svezzate, sia un fardello finanche eccessivo. Spero non abiuri mai la sua condotta onesta, una condotta che va al di là di ogni pregiudiziale. Il resto – tutte le polemiche che gli ruotano intorno – sono solo l’eco stridula dei Bar dell’Invidia.

Politique à l’italienne

Pubblicato 21/11/2010 di stefano calzati
Categorie: amusement, politics

Tags: , , ,

Terza deroga al mio proposito di non parlare, qui, della politique à l’italienne. Ma il Belpaese sta vivendo un momento così intenso ed emozionante che non commentare sarebbe un suicidio.

Ecco l’intervento del Contabile e del Post-Fascista a Vieni Via Con Me. (Maschere di Vuotezza e Ipocrisia).

E poi un bel video per contestualizzare il tutto.

Il problema, by the way, non è solo la mancanza di un leader, ma la presenza di un contesto di lasciva e passiva accettazione di ogni cosa. Ovvero del Niente. Popolo inerme. Stiamo ancora troppo bene.